domenica 5 gennaio 2014

Il picco petrolifero e quella strana giustizia del debito sovrano

E' da poco iniziato il 2014. A quest'ora, secondo le previsioni più cupe di alcuni cultori della catastrofe, si dovrebbe essere già in una situazione da "si salvi chi può", con governi allo sbando, servizi sanitari ridotti al minimo, pompe di benzina a secco, blackout diffusi sulle reti elettriche e quant'altro da fine dei tempi. Lo staff di QdVN non crede, anzi non vuole credere, in un tale tragico epilogo; se ci credesse, non avrebbe avuto senso scrivere QdVN stesso, sarebbe stato piuttosto più sensato fare scorta di gasolio, legna e razioni kappa, non vi pare? Fermo restando che la catastrofe potrebbe essere solo rimandata, abbiamo allora due notizie, una buona ed una cattiva.

Quella buona è proprio che la catastrofe può aspettare, e in qualche modo potrebbe non arrivare mai, a patto naturalmente che non consideriamo una catastrofe la perdita di milioni di posti di lavoro ed il logoramento continuo del potere d'acquisto dei salari. Quella cattiva è che il picco petrolifero è reale e ci siamo dentro fino al collo. Senza addentrarci in una noiosa disamina sul bilancio dell'estrazione petrolifera e carbonifera planetaria, guardiamo un pò, nella pratica, come anche la situazione di Grecia ed Italia in questi ultimi mesi ci suggerisca che il picco ha ormai avuto luogo qualche anno fa, e più precisamente attorno al 2008. Innanzitutto, chiedetelo a qualsiasi imprenditore sopravissuto che oggi cerca di destreggiarsi fra Equitalia e le banche: fino al 2007 di guadagnava ALLA GRANDE. Si consideri poi che il picco petrolifero, di per sè, non consiste in un'interruzione improvvisa e totale delle forniture di petrolio, ma in una sempre minore estrazione di petrolio di facile raffinazione.

Per iniziare: della Grecia non si sente più parlare, non si vedono più tafferugli e guerriglia urbana per le strade di Atene; poi la Grecia, come Stato, non è ancora fallita, anche se ci è mancato poco. Significa che là si è sistemato tutto e sta iniziando una qualche ripresa? In effetti si è sistemato in qualche modo il bilancio dello Stato, ma la vita di migliaia di nuovi disoccupati è rovinata, visto che non riusciranno a trovare altro posto di lavoro. Anche la Grecia insomma consuma di meno perché aumenta la porzione di popolazione che, non avendo più uno stipendio, non può consumare, e nel frattempo, chi ha ancora la fortuna di tirare uno stipendio, vede sempre più logorato il proprio potere d'acquisto.

La realtà è che, in linea di principio, nessuno stato può fallire finché c'è anche un solo contribuente che continua a pagare puntualmente le tasse. Difatti, se per assurdo questo accadesse, sempre in linea teorica, il debito di quel paese potrebbe comunque essere rinegoziato per venire ripagato attraverso un "comodo" mutuo di qualche centinaio di anni. Naturalmente alla morte/pensionamento del povero contribuente puntuale (che significa lavoratore dipendente o piccola azienda vessata dal fisco, ndr), sono i figli a proseguire il pagamento del debito.

Nella sostanza, il debito di qualsiasi Paese può sempre essere rinegoziato spalmandolo sulle future generazioni, purché la sua popolazione non sia destinata ad una estinzione di massa ed il Paese stesso non si ritrovi un giorno senza neppure un contribuente puntuale. Proprio il fatto di ritrovarsi senza neppure un contribuente puntuale è escluso a priori perché significherebbe ritornare all'Età della Pietra, oppure cadere nell'anarchia, che forse è la stessa cosa.

E così anche in Italia, mentre il Governo gongola per lo spread sotto i 200 punti base grazie ad anni di pressione fiscale da suicidio, diverse statistiche lamentano una disoccupazione giovanile esplosiva, la tassazione abnorme a cui è sottoposto il lavoro dipendente, e la crescita di tariffe e bollette in generale. Anche l'Italia insomma è un Paese che ha sempre consumato molto, e contiene ancora al suo interno ampie sacche di scarsa/inesistente produttività, come accadeva alla Grecia. E' un paese che ha sempre contribuito attivamente a dilapidare milioni di barili di petrolio, vivendo al di sopra delle proprie possibilità, ed indebitandosi a dismisura, disperdendo denari in opere pubbliche incompiute, stipendi d'oro, baby-pensionamenti, finanziamenti alla politica e quant'altro di inutile si possa immaginare.

Doppo il picco petrolifero non si praticano più sconti a nessuno; proprio questo è ciò che permette di risparmiare milioni di barili di petrolio al giorno, in quanto si impedisce a Paesi poco (o per nulla) virtuosi come l'Italia di consumare ciò che non meritano di consumare. Per ottenere tale risultato si lavora sulla morsa del debito sovrano che comporta, a sua volta, sovratassazione e quindi abbattimento dei consumi in linea col calo di disponibilità di materie prime.

Sembrerebbe esserci una sorta di giustizia divina in questo stritolamento di alcuni Paesi, salvo poi accorgersi che, secondo il giochino del dilazionamento del debito, a pagare devono essere sempre i soliti, ovvero i contribuenti puntuali... e la loro discendenza, naturalmente.